VIZI E DIFETTI DEL PRODOTTO
In tema di garanzia per vizi e/o difetti la normativa ha subito una forte evoluzione a livello comunitario. Con la Direttiva 85/374/CEE recepita in Italia con il DPR 224 del 1988 e successivamente modificato con il dlgs. 26/2005 (c.d. Codice al Consumo) si è mirato al: “il ravvicinamento delle legislazioni nazionali in materia di responsabilità del produttore per i danni causati dal carattere difettoso dei suoi prodotti è necessario perché le disparità esistenti fra tali legislazioni possono falsare il gioco della concorrenza e pregiudicare la libera circolazione delle merci all’interno del mercato comune determinando disparità nel grado di protezione del consumatore contro i danni causati alla sua salute e ai suoi beni da un prodotto difettoso”.
Ad ogni buon conto la normativa oggi compresa nel Titolo II del Codice del Consumo si applica ai soli casi in cui il danno da prodotto difettoso sia fatto valere dal danneggiato in qualità di utente o consumatore per un pregiudizio che ha colpito la sua integrità fisica o altri beni diversi dal prodotto difettoso. Dunque, con l’esclusione dell’utilizzatore professionale o per scopi commerciali. Diversamente, qualora la richiesta di risarcimento per il danno causato dal prodotto viziato abbia carattere commerciale, poiché il soggetto acquirente viene colpito nell’esercizio di una sua attività economica o professionale e negli utili di detta attività, si applica la normativa dettata dal Codice Civile, specificamente quella relativa alla compravendita.
Nell’ordinamento italiano il contratto di vendita è regolato all’art. 1470 e seguenti del Codice Civile e “ha per oggetto il trasferimento di proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo”. Le obbligazioni principali del venditore sono quella di far acquistare al compratore la proprietà della cosa o la titolarità del diritto oggetto dello scambio; consegnare la cosa al compratore e garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa. I vizi di una cosa sono le imperfezioni o alterazioni del bene, dovute alla sua produzione o alla sua conservazione. Il compratore non ha diritto di protestare per qualsiasi difetto, infatti l’art. 1490 cc. sancisce che “il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendono inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore” . L’onere di provare i vizi sulla cosa venduta incombe sull’acquirente, il quale non solo è tenuto a rilevare i difetti della cosa acquistata, ma anche a dimostrare il nesso causale esistente tra cosa consegnata e difetto. Il venditore sarà tenuto alla prova liberatoria della mancanza di colpa solo laddove la controparte abbia dimostrato la pretesa inadempienza. La Suprema Corte ha affermato che detta responsabilità prescinde dall’accertamento della colpevolezza del produttore e grava sul danneggiato la prova del collegamento causale tra difetto e danno, non già tra prodotto e danno “solo a seguito del raggiungimento di tale prova (avente pertanto ad oggetto la relazione difetto-danno quale prerequisito normativo costituente al contempo limite e fondamento della responsabilità del produttore), viene a gravare sul produttore la dimostrazione della causa liberatoria” (Cass. Civ. n. 13225/2015). Sempre secondo la Suprema Corte, la prova della difettosità può essere basata su presunzioni semplici, precisando che “non costituisce corretta inferenza logica ritenere che il danno subito dall’utilizzatore di un prodotto sia inequivoco elemento di prova indiretta del carattere difettoso di quest’ultimo, secondo una sequenza deduttiva che, sul presupposto della difettosità di ogni prodotto che presenti un’attitudine a produrre danno, tragga la certezza dell’esistenza del difetto dalla mera circostanza che il danno è temporalmente conseguito all’utilizzazione del prodotto stesso” (Cass. 25110/2017). Insomma, il danno riportato non prova di per sé, né direttamente né indirettamente, il difetto né “la pericolosità del prodotto in condizioni normali di impiego, ma solo una più indefinita pericolosità del prodotto di per sé insufficiente per istituire la responsabilità del produttore, se non sia anche in concreto accertato che quella specifica condizione di insicurezza del prodotto si pone al di sotto del livello di garanzia di affidabilità richiesto dalla utenza o dalle leggi in materia”.
Come detto sopra per vizio s’intende quella imperfezione materiale e/o strutturale che incide sulla utilizzabilità e sul valore della cosa, a causa di un difetto dovuto al processo di fabbricazione, produzione, formazione e conservazione della cosa oggetto del contratto, fermi restando la natura e il genere della cosa. Ovvero ricorre solo quando il difetto pregiudichi in maniera d’un certo rilievo o la funzione della cosa o il suo valore. La garanzia non è dovuta se, al momento del contratto, il compratore, trattandosi di vendita di cosa specifica, conosceva i vizi della cosa ovvero si trattava di vizi facilmente riconoscibili.
Di conseguenza, qualora la cosa presenti vizi o difetti che la rendano inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, su richiesta dell’acquirente può essere pronunciata la risoluzione del contratto di vendita. In tale ultima ipotesi, il venditore deve restituire al compratore il prezzo, le spese ed i pagamenti fatti per la vendita; il compratore, invece, deve restituire la cosa. Il contenuto dell’obbligazione “di garantire il compratore da vizi di cosa“ è precisato dagli artt. 1492, 1493 e 1494 cc, i quali attribuiscono al compratore sia la facoltà di domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione; sia le restituzioni e i rimborsi conseguenti alla risoluzione; sia il risarcimento del danno, se il venditore non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa, e comunque per i danni derivati dai vizi stessi (Cass. civ., sez. Un, 13 novembre 2012, n. 19702), La scelta del compratore diviene irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale. La prevalente dottrina e la giurisprudenza della Cassazione ravvisano nella garanzia per vizi la violazione in capo al venditore dell’obbligo di verificare che il bene trasferito abbia i requisiti necessari per la sua utilizzazione ed è un’obbligazione relativa alla responsabilità contrattuale del venditore.
La giurisprudenza ha precisato che, qualora il venditore si impegni a eliminare i vizi della cosa, tale impegno non comporta novazione oggettiva delle obbligazioni derivanti dal contratto pertanto, qualora il venditore non proceda all’eliminazione del vizio, il compratore può esperire le ordinarie azioni dei garanzia (Cass. SU 13294 21.06.2005).
A fronte di una così ampia tutela delle ragioni del compratore, tuttavia, il legislatore ha preteso una sua attivazione pressoché immediata. A meno che il venditore abbia riconosciuto l’esistenza del vizio o, al contrario, l’abbia occultato, l’acquirente è tenuto a denunziare all’alienante i vizi stessi, entro il termine di otto giorni dalla scoperta, salvo il diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge. Il tempo necessario per il compimento della prescrizione dell’azione, inoltre, è abbreviato a solo un anno dalla consegna.
È bene sottolineare che la disciplina codicistica, applicabile al contratto di compravendita in generale, non si applica nei contratti in cui il venditore sia un professionista e l’acquirente un consumatore. In tal caso, infatti, la normativa applicabile è quella di cui al Codice del Consumo che detta una disciplina di favore nei confronti del consumatore, in ragione della sua debolezza contrattuale.
Ma cosa si intende per professionista?
Si tratta di chiunque svolga attività di commercio al dettaglio di beni e/o servizi e quindi la definizione non è solo in senso stretto ma include anche negozi, grandi catene di distribuzione, aziende di trasporto. Per consumatore, invece, si intende un soggetto che acquista il bene per proprio uso personale, indipendentemente dall’attività economica, professionale o imprenditoriale svolta. L’art. 130 Codice del Consumo così recita : “Il venditore è responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene. In caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto. Il consumatore può chiedere, a sua scelta, al venditore di riparare il bene o di sostituirlo, senza spese in entrambi i casi, salvo che il rimedio richiesto sia oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso rispetto all’altro”. Ai sensi del successivo Art. 132 Codice del Consumo “Il venditore e’ responsabile, a norma dell’articolo 130, quando il difetto di conformità si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene”.
Da
tener ben presente che il consumatore,
il cui bene abbia un difetto di conformità, deve rivolgersi al
rivenditore che è l’unico
soggetto responsabile (in
forza del contratto) nei suoi confronti, a prescindere dal fatto che
il difetto
dipenda da un altro soggetto della catena distributiva.
In altri
termini, è il venditore che deve rispondere direttamente e
personalmente alle richieste del consumatore, facendosi carico di
ogni eventuale onere. Di qui derivano due conseguenze, in
primo luogo sono
illegittime le richieste del venditore di rivolgersi direttamente al
centro di assistenza o alla casa produttrice del prodotto; in
secondo luogo sono
illegittime le clausole contrattuali che escludono o limitano diritti
del consumatore, anche nel caso in cui vi sia un consenso di
quest’ultimo indicato nel contratto di vendita.
L’art.
131 del Codice del Consumo prevede, infatti, che il venditore possa
rivalersi a sua volta sul responsabile del difetto di conformità
tramite la cd. azione di regresso.
La norma prevede, infatti, il
diritto del rivenditore, di rivolgersi a ritroso alla catena
distributiva per chiedere il rimborso di quanto ha dovuto prestare al
cliente finale in base alla garanzia.
Il consumatore non può
agire direttamente verso uno qualsiasi dei soggetti della catena
distributiva, ma deve rivolgersi direttamente al rivenditore finale
che è il soggetto con il quale ha contrattato e che ha potuto
raccogliere le sue richieste sulla destinazione ad un uso particolare
del prodotto e rendersi conto delle sue aspettative.
Tanto la disciplina codicista quanto il codice al consumo prevedono due tipi di garanzia.
La
garanzia legale obbligatoria
per
legge, valida
due anni dalla
consegna del bene e
inderogabile.
Si
tratta di una garanzia per i difetti di conformità o vizi di
mancanza di caratteristiche promesse e riguarda un problema che ha
caratterizzato il bene fin dall’origine.
Per essere conforme
un bene deve essere: idoneo all’uso al quale servono beni dello
stesso tipo, idoneo all’uso voluto dal consumatore, dichiarato al
venditore al momento della vendita e da questi accettato, conforme
alla descrizione fatta dal venditore o dal produttore e possedere le
qualità descritte o
mostrate attraverso un campione o un modello.
Il
difetto di conformità che deriva dall’imperfetta installazione del
bene è equiparato al difetto di conformità del bene, quando
l’installazione è compresa nel contratto di vendita.
La
garanzia legale, in definitiva, copre i difetti esistenti al momento
della consegna, vale adire i difetti originari del prodotto che
si manifestano nell’arco dei 24 mesi, con esclusione dei difetti
sopravvenuti.
Diversamente, la garanzia commerciale, eventuale ed ulteriore rispetto a quella legale, trae origine dall’impegno assunto dal venditore o dal produttore nei confronti del consumatore. È dunque una garanzia accessoria, di natura contrattuale, i cui contenuti e la cui durata sono discrezionalmente fissati dal venditore e deve essere redatta in lingua italiana.
Essa
si aggiunge alla garanzia legale ed
è facoltativa, ma una volta offerta diventa vincolante per chi l’ha
proposta, può essere libera nella durata, nell’oggetto e
nell’estensione territoriale e
non può in alcun modo limitare i diritti del consumatore, ma può
solo ampliarli.
Secondo
il codice del consumo, la garanzia di due anni è prevista solo in
quei contratti conclusi tra professionista e consumatore. Per quanto
riguarda tutti gli altri casi, salvo particolari estensioni
riconosciute dal venditore (anche a pagamento), la garanzia legale è
di solo un anno.
Appare evidente quindi che nel momento in cui un soggetto chieda la fattura a seguito di un acquisto, interviene nel contratto non in quanto “consumatore” ma piuttosto come “professionista”. Di conseguenza, non applicandosi più il codice del consumo a tali acquisti con fattura, la garanzia è di un anno e non di due.
Se si vuole ottenere una garanzie di due anni sui prodotti appena comperato, è necessario dunque che il professionista s’astenga dal detrarre l’acquisto dalle tasse e non chieda la fattura. Infatti, è solo con l’emissione dello scontrino che si può presumere che il suo acquisto sia stato fatto a fini personale e in qualità di “consumatore”.