Massima sicurezza tecnologica

Cass. Pen. Sez. IV sent. N. 3616

MASSIMA:

Il datore di lavoro deve adottare tutti i più moderni strumenti che offre la tecnologia onde garantire la sicurezza dei lavoratori. Deve, tuttavia, precisarsi che, qualora la ricerca e lo sviluppo delle conoscenze portino all’individuazione di tecnologie più idonee a garantire la sicurezza, non è possibile pretendere che l’imprenditore proceda ad un’immediata sostituzione delle tecniche precedentemente adottate con quelle più recenti ed innovative, essendo necessario procedere ad una complessiva valutazione sui tempi, modalità e costi dell’innovazione, purché, ovviamente, i sistemi già adottati siano comunque idonei a garantire un livello elevato di sicurezza”.

CASO:

La Corte di Appello di Genova, confermava la sentenza del Tribunale di La Spezia, emessa in data 11.2.2013, con condanna al pagamento delle spese processuali e di quelle di assistenza e difesa delle parti civili costituite, liquidate in Euro 5.000,00 per onorari oltre IVA e cpa, come per legge.

Il Tribunale di La Spezia aveva giudicato A.G. per i seguenti reati:

A) delitto p, e p. dall’ art. 589 c.p. , 590 cp e D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 4, comma 5, lett. h), art. 3, comma 1, lett. b) e art. 89, comma 3, lett. a) per avere, nella qualità di amministratore unico della s.r.l. BP Gas, per colpa specifica, consistita nella violazione della disciplina antinfortunistica cagionato l’esplosione di un compressore verticale duplex marea Worthington, a causa della quale C.M., operaio dipendente della stessa società, che stava provvedendo ad operazioni di carico delle autocisterne aziendali con. GPL, riportava lesioni personali che lo traevano a morte;

Il Tribunale dichiarava responsabile AG del solo reato di cui all’art. 589 cp (omicidio colposo), in quanto in merito agli altri capi di imputazione emergeva per l’uno difetto di querela e per l’altro intervenuta prescrizione. L’imputato veniva altresì condannato al risarcimento del danno.

AG ricorreva per Cassazione lamentando carenza e vizi di motivazione da parte della Corte di Appello:

  • in quanto la pronuncia sarebbe basata su un’erronea valutazione ed interpretazione delle norme. Sarebbe stato attribuito valore determinante ad un elemento insignificante, quale l’omessa adozione del dispositivo di sicurezza, sia ai fini della prognosi sulla verificabilità dell’evento mortale che ai fini della sussistenza dei profili di responsabilità penale. La statuizione della Corte di Appello sull’obbligatorietà di munire il compressore del GPL del dispositivo di sicurezza “barilotto trappola” sarebbe priva di qualsiasi valore scientifico e deriverebbe unicamente da una ricerca empirica condotta dalla ASL, che ne avrebbe appurato l’uso in altre aziende.

Il ricorrente richiama la sentenza della Suprema Corte n. 41944 del 19.10.2006, con riferimento alla massima sicurezza tecnologica esigibile dal datore di lavoro. L’esatta applicazione delle prescrizione tecniche non esimerebbe il datore di lavoro da responsabilità laddove l’evoluzione tecnologica le abbia di fatto superate. Nel caso di specie, però, sostiene il ricorrente il compressore in uso era perfettamente funzionante, così come il dispositivo di sicurezza installato, consistente in una testata mobile o elastica per la captazione del liquido, sistema della stessa natura del “barilotto-trappola”. Il concetto di massima sicurezza tecnologica, andrebbe inteso, nella pratica, in massima sicurezza tecnologicamente fattibile, in virtù del principio della reasonable practicability e dei principi di tassatività e determinatezza della legge penale. Altrimenti l’obbligo a carico del datore di lavoro, nella predisposizione delle misure di prevenzione e nel successivo aggiornamento delle stesse, sarebbe impossibile da assolvere, con il rischio di non poter mai sapere di aver assolto gli obblighi normativi di sicurezza, in quanto in concreto potrebbero esservi delle misure cautelari sconosciute al datore di lavoro, ma attivabili in base al progresso tecnico.

  • Inoltre il ricorrente, richiamando sempre un’altra pronuncia della Corte, n. 7364 del 14.1.2014, solleva il tema del comportamento negligente del lavoratore infortunato. I comportamenti tenuti dai lavoratori dell’azienda escluderebbero la responsabilità per colpa dell’imputato. Infatti, gli stessi avrebbero erroneamente caricato, per oltre l’80%, l’autocisterna il giorno precedente l’incidente e, poi, avrebbero posto in essere una pericolosa operazione di svuotamento del tubo della fase gas che portava al compressore, con l’accensione del compressore che, dopo pochi secondi scoppiava. Detti comportamenti , sostiene il ricorrente, comporterebbero l’esclusione della propria responsabilità.

La Corte di Cassazione: RIGETTA IL RICORSO

Sostiene la Corte che I giudici del gravame di merito con motivazione specifica, coerente e logica hanno, infatti, motivato congruamente sui punti nodali intorno ai quali ruota anche l’odierna imputazione:

1. la sufficienza o meno degli strumenti di sicurezza adottati;

2. l’assunta abnormità del comportamento posto in essere dai lavoratori che in ogni caso interromperebbe il nesso di causalità con la eventuale condotta omissiva del datore di lavoro;

3. la mancata prova che l’adozione anche del sistema del cd. “barilotto trappola” avrebbe impedito l’evento.

Orbene, quanto al primo punto la Corte genovese da conto in motivazione che è vero che il compressore era dotato di un sistema di sicurezza funzionante (la cd. “testa elastica”), ma che dalle dichiarazioni rese dai periti Ci. e M. emergeva chiaramente che lo stesso era idoneo solo a intercettare modeste o modestissime quantità di liquido (normalmente presenti insieme al gas) e non grandi quantità, quale quella che deve essere entrata nel compressore per provocare la forte pressione da cui è derivata l’esplosione. Sulla scorta di tali considerazioni, pertanto, la Corte ha ritenuto condivisibile il convincimento espresso dal giudice di prime cure nonché dalla Corte territoriale, per il quale la presenza del barilotto trappola avrebbe impedito la causazione dell’infortunio con quelle modalità.

Punto nodale del decidere, è se dovesse essere preteso dall’ imputato – che è incontestato essere titolare di una posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei lavoratori e aveva il dovere di provvedere al rispetto della normativa antinfortunistica, vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, essendo egli stesso responsabile della prevenzione e della sicurezza sul lavoro – che si dotasse di più nuovi accorgimenti idoneo a garantire la sicurezza dell’impianto, pur in possesso di tutte le prescritte autorizzazioni, e in assenza di norme tecniche che impongano espressamente l’uso di barilotti trappola.

A proposito di “massima sicurezza tecnologica” esigibile dal datore di lavoro, il Collegio ritiene che, se è vero che la Corte ha anche affermato che, in materia di infortuni sul lavoro, è onere dell’imprenditore adottare nell’impresa tutti gli strumenti ed accorgimenti idonei a tutelare i lavoratori, il principio de quo vada letto alla luce della richiamata sentenza 41944/2006, Laguzzi, secondo cui, qualora la ricerca e lo sviluppo delle conoscenze portino alla individuazione di tecnologie più idonee a garantire la sicurezza, non è possibile pretendere che l’imprenditore proceda ad un’immediata sostituzione delle tecniche precedentemente adottate con quelle più recenti e innovative, dovendosi pur sempre procedere ad una complessiva valutazione sui tempi, modalità e costi dell’innovazione, purché, ovviamente, i sistemi già adottati siano comunque idonei a garantire un livello elevato di sicurezza (così questa sez. 4, n. 41944 del 19.10.2006, Laguzzi, rv. 235538).

Nel caso de quo la Corte territoriale ha ricordato che il sistema di sicurezza costituito dal cd. “barilotto trappola” “non costituiva una novità, essendo in uso in aziende analoghe almeno dagli anni 90.

Nel caso che ci occupa, in altri termini, il tempo trascorso rispetto all’adozione diffusa di quel “barilotto-trappola” che avrebbe certamente impedito l’ingresso di liquido in misura così massiccia, imponeva al datore di lavoro, sebbene in possesso delle certificazioni di regolarità dell’impianto, di aggiornarsi circa i sistemi di sicurezza esistenti sul mercato e di adeguare il proprio impianto con una spesa estremamente contenuta.

Il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei lavoratori ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile.

Orbene, con motivazione logica e congrua a parere degli Ermellini, la Corte genovese ha dato atto di come nel caso in esame non si sia stati di fronte ad un comportamento abnorme del lavoratore.

Va aggiunto che il rischio di uno scoppio è sicuramente insito nell’attività stessa di un’azienda che commercializzi GPL. Ed è perciò evidentemente il tipo di rischio rispetto al quale vanno approntati i più stringenti presidi da parte del datore di lavoro.